martedì 27 novembre 2007

LAVORARE NEL NON PROFIT IN ITALIA: NUMERI E PAROLE CHIAVE


Le riflessioni che seguono sono il risultato di una mia ricerca effettuata analizzando i bilanci sociali pubblicati dalle Ong in rete. Premetto che la ricerca si è concentrata soprattutto su quelle Onp (Organizzazioni Non Profit) che operano nel settore della cooperazione internazionale.
Da questa ricerca emergono diversi dati interessanti a priori ed alcune informazioni utili per capire come muoversi per trovare lavoro in Italia nel non profit.
In primo luogo l’organico di una Ong medio-grande non supera in genere il numero 100. (intendo sempre in Italia ed escludo Onp eccessivamente istituzionalizzata o che per struttura interna hanno costitutivamente organico limitato), mentre nelle Ong più piccole l’organico si riduce anche a 10-20 persone.
In secondo luogo i canali di ingresso al lavoro in una Ong sono esposti al rischio di “saturazione”.Mi spiego meglio. Le domande di lavoro nel settore non profit (che oggi in Italia impiega più di un milione di persone) sono in forte crescita. Spesso dunque in attesa di un posto di lavoro ci sono centinaia di simpatizzanti e volontari.
Un terzo problema è rappresentato dal fatto che oltre a posti di lavoro consolidati c’è un gran numero di stagisti, internisti e collaboratori a tempo determinato.
Le prospettive, alla luce di questi dati, sono:
a) di non riuscire a trovare lavoro a causa del fattore saturazione e del livello critico di risorse umane;
b) di venire impiegati ma solo per stage a tempo definito oppure essere assunti con una bassa retribuzione

Come fare allora??

Ora le parole chiave per riuscire ad aggirare queste difficoltà sono: PARTECIPAZIONE e SPECIALIZZAZIONE.

Le competenze che sono richieste per alcune posizioni lavorative (ad esempio nell’ambito del fund raising o della progettazione) sono molte e molto specifiche, quindi bisogna sapere verso quale area puntare e comportarsi di conseguenza. Per esempio, nella sola fase progettuale, una grande Ong impiega diverse persone poiché il progetto va prima pensato, poi prende forma dopo una ricerca sul campo e l’identificazione dei bisogni e dei partners locali, poi c’è la fase di stesura, poi la messa in opera, il monitoraggio ed infine la valutazione ex post (è il cosiddetto ciclo di vita del progetto spiegato in modo molto sintetico; per capire veramente che invece è un gran casino leggete vi consiglio il libro di Massimo Rossi, I progetti di sviluppo - Metodologie ed esperienze di progettazione partecipativa per obiettivi edito da FrancoAngeli nel 2004 ).
Restringere il campo di competenze in cui ci si vuole specializzare, accettare di partire dal basso e svolgere periodi di servizio volontario o mansioni di più basso profilo sono comunque tappe quasi necessarie di chi si avvicina a questo settore professionale.
Considerato ciò dunque impegnarsi anche per lunghi periodi in un servizio volontario in una Ong permette, unitamente alla prosecuzione del percorso di specializzazione, di avere maggiori probabilità di trovare impiego.
Cruciale è non scoraggiarsi e non perdere mai di vista il proprio desiderio di lavorare in questo settore, proprio perché molto spesso la trafila (impegno volontario, stage, specializzazione) è molto o più o meno lunga (a seconda dei casi) per riuscire a raggiungere il proprio obiettivo finale.
Una volta infatti sviluppate competenze e professionalità si potrà proporsi senza effettuare quel percorso interno di “fidelizzazione” all’organizzazione che la prima esperienza comporta.

Vorrei anche aprire una parentesi sulla trasparenza delle Ong soprattutto per quanto riguarda l’argomento “risorse umane”. Mentre infatti, per i propri stakeholders interni ed esterni, (soci e finanziatori per farla breve) c’è un grande sforzo di comunicazione per documentare scrupolosamente la ripartizione dei fondi gestiti, riguardo le spese sostenute per il personale alcune (e sottolineo alcune perché ci sono casi “virtuosi”) Ong non hanno fatto bene i compiti. Poca chiarezza soprattutto sulla relazione tra le spese sostenute per l’organico ed il numero di persone impiegate sia in Italia che all’estero. Senza menzionare poi quei casi in cui sul sito non si trova niente di niente che assomigli non dico ad un bilancio vero e proprio ma almeno ad un rendiconto di carattere economico (fa piacere leggere la relazione sulle attività ma questo non basta per la trasparenza!!). E per concludere non regge molto l’obiezione che il bilancio si trova sulla newsletter di gennaio piuttosto che di febbraio perché la trasparenza vuole anche dire facile reperibilità delle informazioni, tanto più quando sono informazioni “delicate” come quelle di tipo economico e ancor più quando si opera in un settore che è a carattere non profit.


N.B. : per amor di chiarezza, queste riflessioni scaturiscono dall’analisi dei bilanci delle seguenti Ong italiane: Ucodep (premio Ferpi [Federazione Relazioni Pubbliche Italiana] per il Bilancio Sociale nel 2006) Cesvi, Cospe, Avsi, Coopi, Soleterre, Intersos, Aifo, MLFM. Nonché dall’esperienza personale diretta di ricerca del lavoro.

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