venerdì 11 gennaio 2008

I rifugiati in Italia

Il 13 gennaio si è celebrata la “Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato”.
Immigrati, sfollati, rifugiati, extra-comunitari. Tutti termini che dopo i continui passaggi mediatici in tema di stranieri sono sovrapposti nella mente dell’opinione pubblica, generando quella confusione che è la peggiore consigliera.
Si fa sempre un gran parlare di leggi sull’immigrazione, di una “invasione” di stranieri da regolare e controllare, dei diritti e doveri in capo ad essi e si prendono posizioni di “misura”, si effettuano azioni di tamponamento, tra le ultime le espulsioni forzate.
Tutti segni, la confusione ed i palliativi, di una mancanza di governance vera e proprio del fenomeno nella sua interezza.
Il fenomeno dell’immigrazione (legalizzata o clandestina, di migranti o rifugiati) come ogni fenomeno complesso racchiude in sé diverse sfaccettatture. Il processo migratorio infatti è un viaggio che ha un inizio, uno svolgimento ed una fine. Ma la fine del mero trasferimento geografico coincide con l’inizio di un nuova sfida: quella dell’integrazione.

I migranti, nel senso specifico dell’accezione vengono definiti come quelle persone che volontariamente scelgono di abbandonare il proprio paese per migrare in un altro posto sulla terra che a loro pare migliore per vivere.
I rifugiati ed i richiedenti asilo invece sono coloro che giuridicamente parlando sono “costretti” ad abbandonare la loro patria ed impossibilitati a farvi ritorno a causa di guerre, violenze o persecuzioni su base etnica, religiosa o razziale.
(A parer mio la linea immaginaria che divide giuridicamente ed umanamente una figura, quella del migrante od immigrato, dall’altra, quella del rifugiato è sottilissima).
Ancora non si riesce a dare applicazione alle soluzioni che permetterebbero di disciplinare il fenomeno dell’immigrazione come presunto atto volontario di trasferimento verso un ancor più presunto “paradiso terrestre”. Ancora si è immersi in un universo quasi manicheo di contrapposizioni buono/cattivo. E’ "buono" l’immigrato che lavora nel Nord-Est perfettamente integrato; è "cattivo" l’immigrato che vive di espedienti e smercia la droga nelle nostre strade.
Su queste nodi di fondo irrisolti pesa comunque, come ricordato, la complessità della questione migratoria, questione peraltro "in sospeso" anche in altri paesi europei.
Il sogno di assimilazione francese si è infranto con i disordini della banlieue parigina; in Inghilterra l’alterità culturale e sociale sopravvive solo grazie all’isolamento tra le varie comunità che quasi sono rinchiuse in ghetti. Mentre la Svizzera ha da poco lanciato l'esperimento molto discusso di diffondere uno spot sulle tv africane per mostrare che il paradiso occidentale di benessere è solo uno specchietto per le allodole che nasconde reali difficoltà di vita ed integrazione: http://tv.repubblica.it/home_page.php?playmode=player&cont_id=14809.

Ma per i migranti “forzati”, i rifugiati, qualcosa si potrebbe fare. Sono persone che sfuggono da oggettive e reali situazioni di pericolo e chiedono asilo presso le nostre istituzioni governative o presso le sedi nazionali dell’UNHCR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati). Quindi secondo principi giuridici (Convenzione di Ginevra 1951) ed etici, passatemi il termine, “eleggibili” ad un trattamento di riconoscimento ed accoglienza.

In Italia i rifugiati sono circa 20 mila provenienti per 2/3 dall’Africa: Eritrea, Sudan, Costa d’Avorio ed Etiopia.
Putroppo il nostro paese rimane l’unico, a livello europeo, a non avere una legge organica che disciplini le disposizioni in materia di rifugiati e richiedenti asilo
, tutelando queste categorie ed introducendo regole in linea con gli standards internazionali per le procedure burocratiche di riconoscimento. Si sono susseguite nell’ordine:

- lg 39/1990 (Legge Martelli): abolisce la riserva geografica che limitava il riconoscimento dello status di rifugiato solo ad individui provenienti dagli Stati europei ed istituisce i Centri di Prima Accoglienza;

- Decreto lgs. 286/1998 (Legge Turco-Napolitano): è una legge che disciplina sostanzialmente l’immigrazione sostituendo la legge Martelli anche se, per quanto riguarda i rifugiati attribuisce indirettamente anche agli enti locali la facoltà di predisporre sistemi di protezione ed assistenza per i rifugiati.

- Lg 189/2002 (Legge Bossi-Fini): modifica in maniera sostanziale le procedure per la richiesta di asilo.

Attualmente dunque esistono sul territorio italiano 7 Commissioni Territoriali (istituite dalla Bossi-Fini) incaricate dalla "Commissione nazionale per il diritto di asilo" di valutare le richieste di asilo.

L’iter che un richiedente asilo od un rifugiato politico deve seguire è il seguente: presenta la richiesta di asilo e nell’attesa è accolto presso Centri di Prima Accoglienza (CPA); se la richiesta è respinta può tentare altre due volte a presentarla ma alla terza scatta l’espulsione; se la richiesta è accolta “dovrebbe” essere inserito in una struttura di accoglienza per rifugiati (centri di “seconda” accoglienza”) dove avrebbe a disposizione una sistemazione
alloggiativa unitamente alla possibilità di seguire percorsi di avviamento professionale
per inserirsi ed integrarsi nella società.


A fronte di un alto numero di richieste (10 mila nel 2006), a causa delle lentezze burocratiche (alcuni rifugiati hanno atteso anche fino a due anni per avere i documenti ufficiali attestanti il loro status giuridico) solo una minima parte di domande viene accolta.
L’Italia è tra i paesi europei con il più basso rapporto Rifugiati/1000 abitanti. Il nostro paese è allo 0,35%, contro il 2,26% della Francia, l’8,46 della Germania, il 4,91% del Regno Unito, l’8,21% della Danimarca e l’8,32% della Svezia; mentre la Spagna è il fanalino di coda con lo 0,12%.

Un altro problema: anche se dopo lungaggini burocratiche un rifugiato riesce ad ottenere il riconoscimento del suo status le strutture di accoglienza che dovrebbero favorirne l’integrazione non sono molte; quindi di fatto molto spesso il riconoscimento resta una pura questione di forma.

Ricapitolando il rifugiato che comincia la procedura di presentazione della richiesta di riconoscimento del proprio status corre il rischio di passare mesi e mesi nei Centri di Prima Accoglienza, che spesso sono conglomerati di container o roulottes o peggio assembramenti di baracche. Qualora la sua richiesta sia accolta si scontra con la mancanza di strutture adeguate che dovrebbero favorirne l’inserimento sociale.


Dunque, a causa della mancanza di una legge organica, di fondi e di una rete efficiente di strutture assistenziali purtroppo rimane ancora in gran parte formale e non sostanziale il diritto d’asilo sancito dalla Costituzione italiana all’art. 10 :

Lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione Italiana, ha il diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge.

La legge non esiste ancora. Per far fronte a questa lacuna legislativa e alle carenze del sistema di accoglienza si registrano alcune iniziative autonome positive svolte da enti locali per cercare di dare assistenza ai rifugiati.
Come alcuni virtuosi centri di “seconda” accoglienza: il Centro Baobab di Roma, (http://www.baobabroma.org/). Mentre a livello nazionale esiste dal 2001 il Programma Nazionale Asilo (PNA) promosso dall’UNHCR, dal Ministero dell’Interno e dall’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani che ha messo in atto 100 progetti territoriali che coivolgono 200 comuni.
Il PNA è il primo tentativo serio di costruire una rete di accoglienza ed integrazione dei rifugiati e richiedenti asilo. L’art. 32 della Legge Bossi Fini (lg 189/2002) ha istituzionalizzato poi un “Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati” creando un Fondo Nazionale per le Politiche e i Servizi dell’Asilo a sostegno delle iniziative poste in essere in tale settore (http://www.meltingpot.org/articolo11924.html).

1 commento:

Anonimo ha detto...

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